La Trilogia dell’Ibis, ovvero di come l’oppio abbia costruito il mondo moderno

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Ho sempre adorato i libri storici, soprattutto quelli che riescono a raccontare quella parte di Storia dimenticata dalla maggior parte dei libri di scuola. Ancora più interessante è scoprire un punto di vista diverso da quello principale a cui siamo abituati.

Della Compagnia delle Indie Orientali e della Guerra dell’oppio ne abbiamo sentito parlare, forse qualcuno ha dovuto memorizzare le date più importanti per l’interrogazione o per prendere un buon voto alla verifica di storia, ma la nostra conoscenza piuttosto superficiale sull’argomento finisce lì.

Amitav Gosh, scrittore ed antropologo indiano, è riuscito a restituirci quell’epoca nella sua Trilogia dell’Ibis, iniziata con la prima pubblicazione del 2008 e finita nel 2015. L’autore riesce a catapultarci nell’India e nella Cina degli anni a ridosso della prima Guerra dell’oppio, quando il mondo era più innocente e colorato e in cui su una goletta (in questo caso l’Ibis) era possibile incontrare persone provenienti da ogni luogo, ceto e religione. Gli ufficiali erano inglesi ed americani, i marinai erano lascari cinesi, indiani ed africani, mentre viaggiavano con loro uomini e donne in fuga e alla ricerca di un nuovo posto in cui essere veramente se stessi.

E’ incredibile l’immenso miscuglio di lingue, espressioni e mentalità che Gosh ha dovuto affrontare e ritrarre in modo minuzioso per permetterci di viaggiare assieme a lui partendo da un piccolo villaggio dell’interno dell’India per poi imbarcarci a Calcutta su una nave che ci porterà in Mauritania e in Cina. Ogni libro introduce nuovi personaggi che in qualche modo sono collegati tra loro, nonostante le loro radici completamente diverse. Dalle prime pagine seguiremo le vicende di Paulette e Zachary, Neel, Ah Fett e Deeti, la custode di questo branco di sbandati in cerca di un posto nel mondo.

Prima di leggere la trilogia non sapevo quanto l’oppio avesse avuto un ruolo fondamentale nel cambiare il mondo classico in quello moderno. Così ho scoperto che senza i papaveri Singapore e Hong Kong oggi sarebbero delle isole popolate da tigri che si aggirano nella giungla, che quelli furono i primi anni in cui i giovani musulmani sparsi per il mondo iniziavano a scoprire nella religione la propria fratellanza e soprattutto che il 1840 fu l’anno zero del libero mercato come Dio dell’Occidente, pronto a fare di tutto in nome suo, anche muovere guerra ad una delle poche roccaforti di un mondo che fu e che mai più sarà. Chi l’avrebbe mai detto che un piccolo fiore rosso sia capace di portare povertà a chi lo coltiva, enormi ricchezze a chi lo vende e soprattutto così tanto sangue?

L’enclave straniera di Canton diventa quindi simbolo malinconico e nostalgico di un angolo del mondo piccolissimo ma felice, in cui mercanti di ogni razza e religione si incontravano e danzavano assieme e in cui i mercanti cinesi erano amici fidati mentre i popoli del fiume si sostentavano offrendo a quei commercianti lontano da casa tutto quello che desideravano e forse anche qualcosa di più, un calore umano che non sempre ricevevano nel paese di origine.

Il mondo è quell’enclave scomparsa ma anche Zachary Reid, il quale in Mare di papaveri è un giovane carpentiere umile e bello che ha come ambizione massima quella di diventare un avventuriero e che si innamora della pura e innocente Paulette, ma che in seguit,o a causa della lussuria, diventerà freddo, corrotto e cinico, un mercante di oppio senza alcuna morale.

Ciò che ho amato dei libri di Gosh è il fatto che tramite la linguistica e l’antropologia è riuscito a scrivere dei romanzi che potrebbero essere usati come libri di storia. Amore, droga, oppressione, magia e sangue…in questa trilogia c’è tutto questo e senza mai tralasciare dei momenti di estrema ilarità, soprattutto linguistica.

Amitav Gosh ha fatto un grandissimo lavoro che tutti dovrebbero conoscere per capire qualcosa di più su ciò che fu e su ciò che è. E’ questo l’unico modo per prevedere/prevenire ciò che sarà.

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